
Quante volte ci è capitato di vedere un film o un documentario dove si riprendeva la Terra dallo Spazio? E quante volte guardando quelle immagini abbiamo pensato “wow, com’è blu il nostro pianeta…”.
Il motivo è semplice: più del 70% della superficie terrestre è ricoperto dai mari, i quali contengono il 97% dell’acqua totale presente sul pianeta. Questo fa si che sia di gran lunga l’ambiente di vita più diffuso sulla Terra e probabilmente quello con la maggior biodiversità: si ritiene infatti che sia popolato da milioni di specie diverse, anche se fino ad oggi ne sono state scoperte e studiate appena 200 mila.
Questo dato ci porta a fare subito una riflessione importante: sappiamo veramente poco degli oceani, a loro è sempre stato riservato uno studio marginale, mentre ad esempio l’uomo si concentrava sullo Spazio; sono stati investiti miliardi e miliardi di dollari dalle superpotenze mondiali per la ricerca spaziale, quando probabilmente una conoscenza più approfondita dei mari che ci circondano avrebbe aiutato maggiormente lo sviluppo delle nostre società.
Come vedremo più avanti, infatti, i mari vantano diversi primati che incidono profondamente sulla relazione con l’uomo. A questo riguardo, è interessante sapere ad esempio che il fitoplancton, composto da minuscoli organismi marini in grado di fare la fotosintesi, oltre ad essere il primissimo anello della catena alimentare produce anche il 50 per cento dell’ossigeno presente sulla Terra; inoltre, secondo stime delle Nazioni Unite, circa 3 miliardi di persone dipendono dagli ecosistemi marini, i quali forniscono loro cibo e sono fonte di reddito.
Ma questi sono solo alcuni dei motivi per cui si dovrebbe riservare un’attenzione particolare allo studio e alla conservazione degli oceani.
Invece, rapporti recenti, ci raccontano come ad oggi le condizioni di vita in cui versa l’ecosistema marino siano vicine ad un punto di non ritorno: su Nature è stato recentemente pubblicato un report dove si afferma che “almeno un terzo delle popolazioni ittiche sono vittima di overfishing (pesca eccessiva), tra un terzo e la metà degli habitat marini vulnerabili sono andati perduti, una parte sostanziale degli oceani costieri è affetta da inquinamento, eutrofizzazione, impoverimento d’ossigeno, ed è messa in difficoltà a causa del riscaldamento della temperatura oceanica; inoltre molte specie marine sono a forte rischio d’estinzione”.
Un quadro a dir poco tragico, smorzato in parte dai risultati ottenuti nelle zone dove sono stati messi in pratica piani di recupero e conservazione degli ecosistemi marini: questi infatti hanno dato prova di una notevole capacità di ripresa nell’arco di pochi anni, ristabilendo quasi completamente la loro condizione originaria.
Questa è la riprova, se ancora ce ne fosse bisogno, che la natura possiede una forza straordinaria, che le ha permesso fino ad oggi di rigenerarsi quasi sempre e di sopravvivere, e di essere fondamentale anche per la nostra sopravvivenza. Purtroppo però, arrivati a questo punto, senza un’azione congiunta dell’uomo, si rischia di compromettere per sempre questa capacità.
Noi crediamo che la grandissima importanza di questo tema, data inoltre la vastità di informazioni e di problematiche che comprende, necessiti di essere suddiviso in più puntate.
Nella puntata di oggi, vi parleremo di quanti e quali rifiuti finiscono in mare e quali conseguenze hanno per l’ecosistema marino:
Si stima che attualmente negli oceani ci siano 150 milioni di tonnellate di rifiuti, prevalentemente a base di plastica, e che ogni anno ne vengano riversati dagli 8 alle 12 milioni di tonnellate di nuovi.
La maggior parte di questi viene trasportata dai fiumi: è così che arrivano in mare sacchetti, materiale d’imballaggio, pesticidi, concimi, sostanze chimiche in generale, combustibili liquidi, rifiuti urbani ed industriali. E poi legname, metalli, vetro e ceramica, tessuti e mozziconi di sigaretta.
Il 75% è comunque plastica o materiale a base di plastica, e di questi quasi il 90% sono plastiche monouso. Di questo passo entro il 2050 viene stimato che in mare ci sarà più plastica che pesce e che il 99% degli uccelli marini ne avrà ingerita.
E’ interessante sapere che buona parte di questi rifiuti viene riportata indietro dal mare, e viene lasciata sulle spiagge dal moto ondoso: i dieci rifiuti più rinvenuti sulle coste sono bottiglie e tappi di plastica, mozziconi di sigaretta, cotton fioc, pacchetti di patatine e carte di caramella, assorbenti, buste di plastica, posate e cannucce monouso, coperchi di bibite, palloncini e bastoncini per palloncini, contenitori di cibo in plastica (inclusi quelli dei fast food).
Tutta questa plastica crea un ulteriore problema, sottostimato fino ad oggi, ma che sta assumendo proporzioni devastanti: stiamo parlando della microplastica, ovvero particelle piccolissime che derivano dal deterioramento della plastica già presente nei mari o che vengono riversate direttamente in esso. L’origine di queste particelle, infinitamente piccole e quindi alla portata di qualsiasi organismo (è stato dimostrato che addirittura gli organismi che compongono il plancton ingeriscono microplastica), è varia e disparata: abrasione di pneumatici, lavaggio di tessuti sintetici, prodotti cosmetici come creme per la pelle, shampoo e gel doccia.
A questo riguardo, un recente studio dell’Agenzia Scientifica nazionale australiana, la CSIRO (Commonwealth Industrial and Scientific Organization), ha dimostrato come sui fondali marini della zona da loro presa in considerazione, ovvero la Great Australian Bight, un ambiente marino in teoria incontaminato al largo della costa meridionale del paese, la quantità di microplastica è addirittura due volte superiore a quella presente in superficie.
Questo è uno studio unico nel suo genere e che apre nuovi scenari: basti pensare che nel Mar Mediterraneo uno studio dello IUCN (International Union for Conservation of Nature and Natural Resources) indica una presenza di plastica nel nostro mare compresa tra 1 e 3 tonnellate, ma rilevata solo in superficie; un’analisi anche dei fondali potrebbe far impennare drasticamente questa cifra.
Sempre lo IUNC ha stimato una quantità media di plastica riversata annualmente in mare pari a 229 mila tonnellate, e i tre paesi che contribuiscono principalmente a questa dispersione sono Egitto, Turchia e Italia.
Un’altra importante fonte di inquinamento è la pesca: ogni anno vengono persi o rilasciati volontariamente in mare migliaia di pezzi inerenti allo svolgimento di questa pratica, e in maggior quantità reti da pesca, perchè vecchie, rotte o comunque non più utilizzabili. Solo nel Mar Baltico risulta che vengano perse o abbandonate 10 mila reti all’anno.
Un problema a parte poi è creato dai grossi sversamenti di petrolio dovuto ad incidenti di grosse petroliere o piattaforme petrolifere: anche dopo decine di anni, nonostante la superficie sia stata ripulita da tempo, il materiale e i suoi effetti distruttivi sono ancora visibili sui fondali e sulle coste.
Infine, l’ecosistema marino è messo a dura prova dalla pesca eccessiva e in molte zone illegale e dagli effetti collaterali dell’allevamento ittico, oltre che dai cambiamenti climatici che stanno facendo aumentare a dismisura l’acidità del PH dell’acqua.
Per questa sera ci fermiamo qui e vi diamo appuntamento al prossimo giovedì per parlare ancora dei nostri oceani, le cose da dire sono davvero tante e vogliamo farlo al meglio.
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