
Ho scelto di portarvi con noi in questo viaggio di ricordi, perchè proprio qualche anno fa a quest’ora noi stavamo per partire, all’epoca in 4, per le isole San Blas.
Spesso quando ci troviamo a parlarne con qualcuno, quasi nessuno conosce questo luogo, in realtà prima di allora neppure noi. Si tratta di un arcipelago di circa 380 isole, in territorio panamense, con una propria giurisdizione a cui fa capo la popolazione indigena dei Kuna, che gestisce completamente questa riserva naturale e risiede solo su 49 di queste isole.
La Comarca (riserva) Guna Yala è incastonata nelle acque cristalline del Mar dei Caraibi ed è un vero e proprio paradiso che resta fuori dal turismo di massa, gelosamente protetto dai nativi che lo abitano: i Kuna.
Un pò di info su questo popolo indigeno:
I Kuna mantengono le loro tradizioni immutate da millenni.
Hanno una struttura sociale matriarcale, la donna nonostante non abbia una funzione politica è la figura predominante a livello sociale, per intenderci la nascita di una figlia femmina è di buon auspicio e dopo il matrimonio le coppie vivono nella dimora della sposa.
La donna ha il compito di gestire la casa, crescere i figli, e produrre le “molas” ( lavorazioni di stoffa con le quali compongono i loro abiti tipici e sono anche destinate alla vendita ai turisti), l’uomo si occupa principalmente della pesca, dell’agricoltura sulla terra ferma e della costruzione e manutenzione delle capanne in cui vivono.

La donna a differenza dell’uomo ha un abbiagliamento curato e variopinto, cucito da loro stesse con le sopracitate “molas”, create attraverso la sovrapposizione di vari strati di stoffe colorate che cucite insieme creano dei bellissimi disegni.
Ciascun villaggio ha un suo congresso gestito da un leader politico e spirituale chiamato Sahila, lui conosce a memoria le storie e i canti tradizionali del popolo Kuna e li tramanda ai più giovani.
Sono molto fieri e gelosi della loro riserva naturale con la quale vivono in simbiosi.
L’unico modo per accedere alla Comarca è attraverso l’ospitalità sulle isole, gestita di solito dai locali, oppure attraverso i “charter”, ospitalità offerta da stranieri che hanno scelto di vivere in barca in questo territorio, e accompagnando i turisti in tour organizzati si guadagnano da vivere, previa concessione dei Kuna, dovendo sempre sottostare alle loro tasse e leggi.
Ci è sembrato di cogliere che sono davvero molto rigorosi in questo.
Quel viaggio ci ha aperto un mondo, allora ancora non del tutto conosciuto, come spesso accade grazie ai viaggi, ed ora cercherò di raccontarvi tutto ciò che ci ha portati fin lì, come e perchè…
Piccola premessa: era un anno speciale per noi, avevamo appena rivoluzionato la nostra vita, cambiando entrambi lavoro e cercando di impossessarci nuovamente del nostro tempo–> per eventuali approfondimenti sull’argomento andate a leggere la nostra storia link www.fiveinwonderland.com/la-nostra-storia
Era da tanto che non facevamo un viaggio importante e ne sentivamo il bisogno, sapevamo bene cosa stavamo cercando: un posto dove stare lontani da tutto, al caldo, con un bel mare, dove poter stare a piedi nudi, cercavamo il contatto con la natura, qualcosa di diverso dal classico resort all inclusive e parlando di tutto questo con una persona, lei ci ha raccontato che ogni anno trovava ciò che le avevamo descritto sulla barca del suo amico Riky, a San Blas.
Riky e Pisana (sua moglie) vivevano da qualche anno ormai sulla loro barca a San Blas, dopo aver girato gran parte del globo.
Ci siamo messi subito in contatto con quello che sarebbe stato il nostro skipper e compagno di viaggio…
Lui voleva saperne di più su di noi, soprattutto perchè voleva fosse chiaro lo stile di vita che avremmo condotto in barca, sapendo che avevamo 2 bimbi molto piccoli, dovevamo avere ben in mente come si viveva lì in mezzo al mare, con pochissimi comfort, condividendo spazi minimi h 24, a centellinare l’acqua per lavarsi, portando a bordo una bimba che aveva iniziato a camminare da poco, insomma dovevamo prepararci secondo lui ad una vacanza di privazioni, assolutamente non adatta a tutti, probabilmente non alla maggioranza della gente…
Noi in realtà cercavamo quel tipo di esperienza, eravamo certi che sarebbe stato bellissimo e che non avremmo avuto problemi ad adattarci.
Una volta chiarito tutto, con un pò di mesi di anticipo avevamo già preso i nostri biglietti aerei per Panama, Riky ci aveva consigliato un paio di b&b dove poter pernottare al nostro arrivo, in attesa della partenza, che sarebbe avvenuta il mattino seguente per raggiungere la costa dove ci avrebbe atteso l’imbarco su una lancia (imbarcazione a motore che i Kuna usano per gli spostamenti dalla terraferma) che ci avrebbe condotti in mezzo all’arcipelago per iniziare l’avventura in barca a vela.
Mentre si avvicinava la partenza continuavamo a tenerci in contatto per capire cosa fosse davvero opportuno portare, perchè la preoccupazione di Riky e sua moglie, conoscendo gli standard di una famiglia media italiana con figli, era che ci saremmo portati mezza casa dietro, e non sarebbe stato possibile, era necessario davvero l’essenziale, per una semplice questione di spazi, che però per ognuno di noi può essere qualcosa di molto diverso.
Inoltre era fondamentale, nel rispetto dell’ambiente della riserva, che tutta la cosmesi utilizzata durante il viaggio fosse senza componenti chimici dannosi per l’ecosistema marino, so che dovrebbe essere una cosa alla quale fare attenzione sempre, ma purtroppo non è così scontato.
Greta all’epoca portava ancora il pannolino, a casa utilizzavamo prevalentemente i lavabili, ma lì non avremmo potuto fare lavatrici, quindi abbiamo optato per una soluzione sostenibile, pannolini u&g biodegradabili. Almeno quelli sarebbe stato possibile smaltirli attraverso il servizio della popolazione locale, salvo compenso.
Il concetto fondamentalmente, per tutta la permanenza, doveva essere assolutamente zero waste, il più possibile, anche perché oltre l’impatto ambientale, più producevi rifiuti più pagavi servizio di smaltimento.
Arrivati in barca, dopo tutte quelle ore prima da Panama attraverso la foresta, poi sulla lancia, davanti a noi un vero paradiso, dove ci siamo sentiti da subito liberi di vivere a ritmo con la natura, archiviando lo smartphone che prendeva poco e raramente.
Abbiamo trovato ciò che cercavamo, la pace…Ci addormentavamo non appena calava il sole e ci svegliavamo non appena sorgeva, questa cosa mi aveva profondamente colpito, la mancanza di luce artificiale, ci aiuta davvero a riattivare la connessione con la natura.
Ci spostavamo ogni 2/3 giorni da un isola all’altra, mangiavamo i frutti della terra e del mare che la popolazione locale aveva da offrire, autoproduceva tutto Pisana che era la cuoca della spedizione.
Nuotavamo, facevamo i turni per fare snorkeling, Edo ha usato per la prima volta maschera e pinne proprio lì…
Stavamo bene, non ci mancava nulla.
I nostri figli come sempre si sono perfettamente adattati ad una vita senza TV, con i 2 giochini a testa che avevano potuto mettere in uno zainetto e hanno interagito con tutti i bimbi che hanno avuto modo di incontrare sulle isole, benchè parlassero ovviamente lingue diverse e conducessero una vita completamente diversa dalla loro, fatta di corse incessanti e cemento.
Abbiamo silenziosamente osservato questo popolo indigeno, con immenso rispetto, tale da non aver neppure fatto le 2000 foto che avremmo tanto voluto fare, (ma non eravamo lì per documentare, questo progetto non era ancora nato) onestamente abbiamo vissuto l’esperienza, senza preoccuparci di postare ogni attimo ed è stato speciale senza dubbio anche per questo.
Ma c’è stata una cosa meno piacevole, che mi ha aperto gli occhi e che non dimenticherò mai, vedere davanti a me quello che è l’impatto inconsapevole dell’uomo sulla terra, perchè ci sono milioni di miliardi di rifiuti che i venti e le correnti marine spostano in giro per il mondo, senza la minima consapevolezza di molti, troppi umani.
Noi ce ne siamo accorti proprio durante questo viaggio, facendo una passeggiata dal lato opposto di una delle isole, davanti a noi non c’era più lo spettacolo della spiaggia incontaminata che ci saremmo aspettati, bensì una discarica a cielo aperto, fatta di ciabatte, scarpe, bottiglie di plastica, lattine e qualsiasi altra cosa dispersa in mare, non dimenticherò mai lo sguardo sgomento di mio figlio Edo con le lacrime agli occhi, all’epoca aveva quasi 7 anni, mentre si accorgeva che una tartarughina cercava di farsi spazio tra i rifiuti per raggiungere l’acqua.
Il lato oscuro del paradiso che ci stava ospitando ci è servito tantissimo nella nostra crescita di esseri umani, viaggiare è anche questo…
Lì ho capito che non ci sono scuse, siamo tutti responsabili e tutti nel nostro piccolo possiamo far parte del cambiamento, che bisogna lavorare sulla consapevolezza e sull’informazione, per dare gli stumenti a quante più persone possibili di agire, tutto ciò che noi facciamo, se davvero consapevole può fare la differenza.
Per questa sera vi lascio con queste riflessioni.
Nei prossimi giorni condivideremo una piccola guida con un focus più dettagliato sulla parte organizzativa di un viaggio di questo tipo con bambini.
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Grazie mille per il tuo tempo.
Deb @fiveinwonderland














