Agricoltura intensiva, una scelta insostenibile.

Categorie -, Ecologia e Sostenibilità

La settimana scorsa ci siamo occupati del problema degli allevamenti intensivi di bestiame. Per chi se lo fosse perso ecco il link: www.fiveinwonderland.com/ambiente-e-scelte-alimentari-sostenibili/

Questa settimana invece ci occupiamo di agricoltura intensiva, argomento spesso collegato al primo, e causa anch’essa di innumerevoli problemi.

Ma partiamo dalla sua definizione: l’agricoltura intensiva è un sistema di industrializzazione dell’agricoltura stessa, basato su sovra sfruttamento dello spazio coltivato, importante meccanizzazione nella coltivazione e pesante utilizzo di pesticidi e fertilizzanti chimici, volto ad ottenere il massimo rendimento, quantitativo ed economico, ma assolutamente NON qualitativo, per ettaro coltivato.

Purtroppo questa pratica si porta dietro un’ innumerevole quantità di problemi, che ne annientano di fatto i pochi lati positivi, quali ad esempio la minor necessità di sgomberare terreni per adibirli a coltivazione: infatti la coltura intensiva incrementa i raccolti in terreni sottoperformanti, ma è una mera illusione, in quanto questi territori a lungo andare si prosciugano di nutrienti e si desertificano, obbligando successivamente alla ricerca di nuovi spazi.

Sappiamo infatti che il suolo cosiddetto “attivo”X4, cioè coltivabile, è profondo da pochi centimetri ad un metro al massimo, e che per formare 2,5 cm di terreno nuovo la natura impiega circa 500 anni; peccato che al giorno d’oggi il tasso di erosione del suolo stesso, a seconda della regione geografica, è da 10 a 100 volte superiore al tasso di formazione.

La causa principale di questa costante distruzione del suolo è l’uso massiccio di pesticidi e sostanze chimiche in generale, ma fanno la loro parte anche l’utilizzo su larga scala delle monoculture persistenti e della mancata rotazione delle destinazioni dei territori (da suolo agricolo a suolo usato per il pascolo ad esempio).

Uno dei possibili effetti causati da tutti questi fattori, come detto in precedenza, è la desertificazione del suolo fertile. Questo può portare al verificarsi di eventi catastrofici: ne è un esempio la poco conosciuta “DUST BOWL” verificatasi negli anni ’30 nel Nord America, ovvero una violenta serie di tempeste di sabbia che provocarono un vero e proprio disastro ecologico. Gran parte della terra rimossa dal vento, infatti, si perse completamente nell’Oceano Atlantico, e mezzo milione di persone dovette abbandonare la propria casa e le proprie attività per spostarsi verso ovest da Texas, Kansas, Oklahoma e dalle grandi pianure circostanti.

Un altro dei problemi indotti dall’utilizzo di colture intensive è il progressivo declino della varietà di organismi, che interessa non soltanto le popolazioni selvatiche che gravitano attorno ai terreni agricoli, ma anche la varietà di piante coltivate: basti pensare che prima della II Guerra Mondiale in Italia venivano coltivate 400 varietà di grano, mentre oggi ne restano solo poche decine. Stesso discorso per le crocifere (cavolo, rapa, rucola ad esempio) che da oltre 40 varietà si sono ridotte appena a 5. E la lista è lunga….

Non meno importante è l’impatto dei pesticidi e dei fertilizzanti che, come detto precedentemente, sono già parte attiva nella distruzione del suolo: essi sono direttamente o indirettamente causa di tutta un’altra serie di problemi, quali la tossicità per l’uomo e per gli animali, la sempre maggior resistenza dei parassiti e l’uccisione involontaria dei nemici naturali di questi, l’inquinamento dell’aria, a seguito della costante ed eccessiva immissione di azoto nell’atmosfera (si calcola che negli ultimi 100 anni l’agricoltura intensiva abbia raddoppiato i livelli di azoto e triplicato quelli di fosforo nell’ambiente rispetto ai livelli naturali), e l’inquinamento delle acque interne (bacini lacustri, fiumi, falde freatiche).

Curioso, ma allo stesso tempo terrificante, è il fatto che, secondo la Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti, 9 delle 12 sostanze chimiche organiche piu pericolose e persistenti sono proprio pesticidi!!! E curioso è anche il fatto che per produrre pesticidi e fertilizzanti vengano usate almeno il 2% delle fonti energetiche disponibili annualmente sul pianeta!!!

Come non approfondire poi il discorso della deforestazione… Allo stato attuale, secondo uno studio dell’Università del Minnesota, l’uomo ha disboscato il 70% di tutte le praterie, la metà delle savane, il 45% delle foreste temperate e il 27% delle foreste tropicali, e in gran parte per fare posto a terre coltivabili. Peccato che un terzo di queste terre sia scomparso, causa degrado, negli ultimi 40 anni!!

Ma nonostante ciò, quasi il 40% della superficie terrestre è coperta da terreni dei ranch e da terre agricole, un terzo delle quali a loro volta sono utilizzate per la coltivazione destinata alla produzione di alimenti per animali, biocarburanti e altri prodotti non alimentari.

Ora, dopo aver compreso quali sono i problemi causati, i rischi che si corrono e le conseguenze che ci aspettano proseguendo con questo tipo di agricoltura ormai praticata su larghissima scala, cosa possiamo fare noi esseri umani per porre un freno a tutto ciò e per invertire la rotta nel minor tempo possibile??

In nostro soccorso vengono una serie di studi provenienti da ogni angolo del pianeta.

Ad esempio in Cina è stato dimostrato che la semina di diverse varietà di riso nello stesso campo ha aumentato i raccolti dell’89% in gran parte per merito della diminuzione del 94% dell’incidenza delle malattie, il che ha reso quindi decisamente meno necessario l’utilizzo di pesticidi. Pazzesco eh??

Dai paesi del nord Europa invece ci spiegano come le tecnologie attuali possono essere messe al servizio del progresso sostenibile, e non essere messe al bando per tornare al medioevo: in particolare le biotecnologie dovrebbero essere utilizzate per ricreare e supportare la simbiosi tra suolo e microbi, il cui “lavoro” riduce la necessità di fertilizzanti.

Come dicevamo, applicare la rotazione delle colture e delle destinazioni e tornare almeno in parte all’utilizzo del letame può aiutare a ripristinare la materia prima di cui è composto lo strato “attivo” e la sua capacità di trattenere acqua e nutrienti.

Infine, vorremmo chiudere parlando di una relazione dell’Università del Michigan http://www.panna.org/sites/default/files/badgley.pdf che prende in considerazione quasi 300 studi locali provenienti da tutto il mondo, e che mostra come l’agricoltura biologica su piccola scala possa nutrire tutta la popolazione terrestre. Nel documento si afferma che, in base al terreno agricolo disponibile attualmente e in considerazione del rendimento medio, è stato calcolato l’approvvigionamento alimentare globale che potrebbe essere coltivato in modo biologico su di esso.

Le stime del modello indicano che si potrebbe produrre cibo a sufficienza per sostenere l’attuale popolazione umana e potenzialmente un numero ancora superiore, senza aumentare la percentuale di terreni agricoli già in uso e riducendo gli impatti ambientali dannosi dell’agricoltura intensiva.

Inoltre, proprio a questo proposito, secondo un rapporto delle Nazioni Unite sui diritti umani, l’agricoltura ecologica può raddoppiare la produzione alimentare in appena 10 anni.

Ci sono alternative, ci sono esempi positivi da seguire e mettere in pratica per ottenere benefici al più presto.

Noi ci auguriamo davvero che attraverso tante informazioni e ad un buon grado di consapevolezza collettiva, si possano raggiungere obiettivi reali e tangibili, ricordandoci sempre che le regole del mercato le dettiamo anche e soprattutto noi.

Iniziare a consumare verdure di stagione provenienti da piccole realtà, km0, sostenendo i produttori del nostro territorio rurale, è già un passo verso il cambiamento. Così come consumare più tipologie di cereali, imparando ad informarci sulla loro provenienza, un altro passo. Entrare a far parte di GAS, gruppi di acquisto solidali, un altro ancora.

Dobbiamo immaginarci come tanti piccoli granelli di un deserto immenso, che insieme possono davvero scatenare una tempesta, ma in questo caso ci piace pensare ad una “POSITIVE DUST BOWL”.

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